mercoledì 12 ottobre 2011

Summer is finished, I'm a Chrysalis.


Mesi, settimane, minuti o secondi?... Quanto può durare emotivamente un’estate?..
Il tempo continuo convinta a percepirlo come un’identità beffarda ma degno di stima. Non oggettivamente condivisibile, non sempre per lo meno.  Dolori interminabili e felicità della durata di un fiammifero, il tempo muta con le nostre sensazioni. Un minuto può sembrare infinito ed un’ora, sparire nel chiudersi delle palpebre.                                                                                                                                                                   Le trasformazioni hanno bisogno di tempo, sempre. Ma basta un frangente per voltarsi, ed accorgersi del salto che si è fatto.
E l’anima esplode, un po’ intimorita mista a entusiasmo. Una scintilla e lo scoppio.  Il ricordo di momenti in cui il vuoto era tale da sentirlo implodere svanisce nel rumore, come un fuoco d’artificio all’inizio del suo splendore.
Ho tirato il sipario. Ben aperto, ora mostra lo spettacolo sul palcoscenico dove la mente crea, il corpo elabora materia.
Esaminazioni, paure, impegno, soddisfazioni, confusione, nuovi luoghi, scoperte, paure impegno, soddisfazioni, imparare. Musica, arte, conoscenza, paure, impegno e riscoperta.
Giorno per giorno, metamorfosi.

Ricordo i primi di Giugno quando ebbi il primo respiro della stagione. Nella frenesia dei preparativi degli esami, per il week-end del mio compleanno, mi son concessa tre giorni di vuoto mentale da riempire con amicizia, tranquillità e mare.
Ricordo l’affanno della partenza perché improvvisata all’ultimo minuto per raggiungere gli amici che già da giorno si godevano la salsedine. Un pullman, tre treni, altri tre pullman, un passaggio in bici e dopo 7 ore, Jesolo, compagnia e un felicissimo compleanno. Al ritorno l’ansia degli esami si è fatta pressante e con un po’ di timore ho riscritto da zero la mia tesina. Volevo avesse un significato, un messaggio da mandare, non era importante il destinatario. La intitolai :
Che cosa, esattamente, non ricordi?
Chi, precisamente, non hai perso?
Vuoi un regalo di non-compleanno?
Con l’esercizio, puoi abituarti a credere anche alle cose impossibili.
Se un senso non c’è, non dobbiamo cercare di trovarlo.
“PARADOSSI UMANI TANTO ASSURDI,
QUANTO REALI.”

Partendo dalla fiaba di “Alice nel Paese delle Meraviglie”, mia fiaba preferita fin da piccola, che ho poi col tempo scoperto essere un vero e prorio saggio sulla logica umana, nascondiglio di indovinelli logico\matematici e sogni poi non tanto diversi dalle assurdità del mondo reale. Anche per questo nasce la mia particolare concezione del tempo.
Passando da esempi primari come le illusioni ottiche, esempio nell’arte Cornelius Escher, osservando i concetti di maschere e concezione della realtà secondo Pirandello ho finito per porre il concetto fondamentale a cui aspiravo arrivare col mio lavoro. Essendo un istituto di moda e con l’argomento che avevo scelto.. Quale paradosso migliore di quello dell’ ESSERE O APPARIRE” ?
La mia intenzione  era quella di rappresentare un individuo che affrontando qualunque evento per quanto assurdo potesse essere, trovasse una sua via, un suo modo, una sua personalità. Un’Alice che progredisce e forma la sua persona  quindi l’obbiettivo finale è di dare un significato personale alla mia tesina ma, non una soluzione, bensì un quesito: 
Sapendo che chiunque dovrebbe trovare il proprio, soggettivo, incondizionato essere, tra l’esteriorità e l’interiorità, perché solo l’unione di ambedue crea l’essenza…. Quanto ogni uomo è consapevole di chi è, e più importante, è disposto a capire ed accettarlo a dispetto di regole, giudizi ma soprattutto pregiudizi?.... Quanto si è disposti ad accettare di noi stessi e degli altri, per quanto inusuale possa apparire? Cosa vuol dire oggi essere se stessi?.... Ma più di qualsiasi altra cosa:
Si può, oggi, essere realmente se stessi?

Creai successivamente gli abiti, quattro per l’esattezza, anche se d’obbligo ven’era solamente uno. Regina di cuori, Cappellaio Matto, e la centralità, ovviamente, ad Alice:
Voluto volontariamente un po’ infantile, stile “bambolina” per renderlo teatrale ed indicare il personaggio di Alice nella fiaba, quindi bambina, rispetto alla proiezione parallela di Alice nel mondo reale che entrando in contatto con i paradossi quotidiani subisce una trasformazione.
Troviamo un’Alice cresciuta, più consapevole di sé stessa con un aspetto più maturo e, se vogliamo, anche più sensuale. Una donna che intimamente trova il suo equilibrio e l’eleganza dell’anima si mostra riversata nell’aspetto.
L’abito a dimostrazione era infatti più ricco, leggero con stampa floreale quasi stia ad esaltare lo sbocciare di questa nuova donna.
In un individuo l’essere e l’apparire non dovrebbero essere due sfere separate ma aspetti che influiscano a vicenda l’una sull’altra. Valori che in modo diverso rappresentino una parte fondamentale di ciò che cerchiamo di perseguire unitamente a ciò che siamo nella nostra verità. Credo sia di importanza estrema per lo stato evolutivo del nostro vero essere. E’ motivo secondo il quale noi viviamo nella verità dell’essere e nella corazza dell’apparire.
Riuscire a sviluppare questo concetto e proporlo per la mia maturità credo sia stato per me un po’ come mettermi a nudo, mostrando cosa in gran parte mi avesse influenzato e successivamente sviluppato.
Da quel momento, forse perché lo considerai un passo degno di nota per lo sforzo, pensavo che ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto… Appunto senza troppo sforzo. Ed invece riscoprii uno stato confusionale che s’assentava da tempo.
Avevo terminato un percorso che nel durante pareva senza fine. Chiusa quella porta mi sembrava di stare perennemente al buio senza sapere da che parte fosse quella successiva, che una volta aperta, mi avrebbe consentito di delineare ancor meglio la strada che avrei voluto seguire. Il buio ed il tempo, per quel periodo, si resero tiranni e indolenti al mio rigurado. L’unica cosa che mi concedeva tregua era una ricerca di organicità del mio essere, capire chi ero, dov’ero e, almeno in parte, cosa volevo. Ma nulla. Il mio fondo sembrava non avere fondo.

Una mattina, cielo limpido ed un volo. Una partenza. Sentii una parte impalpabile di me staccarsi, come un involucro ormai troppo stretto che decade dal corpo in evoluzione. Un tragitto assonnato e poi l’arrivo. Cielo grigio, foschia e pioggia. Non vedevo nulla.
Mi mossi per vie sotterranee fino a risalire aprire l’anima, più che gli occhi. Una massa enorme e informe di colori, suoni, voci, odori, l’umidità. Vita. Un posto lontano da casa che mi calzava meglio di camera mia.
 Così vidi per la prima volta Camden Town ed un cielo tanto nuvoloso, mai mi era mai parso più luminoso.
Tutta quell’aria secca che avevo nella testa si mescolò con la pioggia rarefatta che quasi m’accarezzava e  scorrendo, se la portò via. La sensazione di benessere della quale avevo gran nostalgia, ritornò.
Col passare dei giorni scoprii poco alla volta questa Londra che in punta di piedi mi entrava sotto la pelle come se col passare del tempo, mi facesse, quasi stordita, fondere con lei. E la sentivo sempre più mia, o forse, io sua.
Un aglomerato gigantesco di diversità profondamente unite dal semplice fatto di essere unani.
Una bellezza inspiegabile. Una libertà d’espressione che da dove venivo non potevo nemmeno concepire. Un sollievo per l’essere, l’abolizione del freno concettuale dell’apparie.
Una riscoperta di sensazioni infinita, una riscoperta di me. Misi inevitabilmente a confronto il posto da cui venivo con quello in cui mi trovavo e comprendere quanto una mentalità possa essere chiusa in maniera direttamente proporzionale col l’apertura della valle in cui vive, fu piacevolmente scioccante.
Tutto nuovo, eppur così familiare.
 Luoghi che per circostanze ed atmosfera sembravano fuori dal mondo, fuori dal tempo.  
La mia mente continua a porre a me stessa i soliti innumerevoli quesiti come quello riguardo al cuore.
 Il cervello, deve fermarlo, o dargli il tempo? 
L’unica certezza che ho, è la luce dell’idea, cerco ogni giorno ad ascoltarmi di più e quando chicchessia mi diceva “Guarda dove siamo” , non trovavo parole ma ora come ad allora, mi guardo attorno, e dentro, profondamente. Nuovi "animali" probabilmente s’avvicineranno, o forse torneranno dal passato, ed io rimarrò certamente col dubbio di quanto voglia addomesticarli ma, indipendentemente dal fatto che qualcuno riesca o meno a smentire il mio scetticismo riguardo all’Amore inteso come relazione reale tra due persone, so che sono nella mia “Wonderland” e non è solo un sogno.
Ogni frangente è accompagnato dalla musica.. La durata di una canzone può cullarti o scandire, misurata ogni passo e lasciarti camminare.
Posso finalmente costruire da me la base, il fondo, di quella strada.

Alle volte concepisco la sensazione di risplendere in un’evoluzione che non credo possa avere fine, appesa ad un filo, come una stella, ma ferma a nascere.






















And now… I making in my way. Work in progress.